Luigi Serafini, il Codex Seraphinianus e altre storie

Dietro uno dei libri più enigmatici e misteriosi mai creati c’è un personaggio geniale: l’artista Luigi Serafini. Il libro in questione è il Codex Seraphinianus, un volume illustrato, strutturato come un’enciclopedia, di quasi 400 pagine, che fu pubblicato per la prima volta nel 1981 dall’editore Franco Maria Ricci.

Il Codex suscitò subito l'interesse di grandi nomi della cultura; Italo Calvino scrisse un testo che accompagnò la prima edizione, che lo storico dell’arte Federico Zeri recensì con lodi estasiate sul quotidiano La Stampa; tra i primissimi fan dell’opera ci furono anche gli scrittori Umberto Eco, Leonardo Sciascia e Giorgio Manganelli.

Da “Collezioni di Sabbia” di Italo Calvino

Come l'Ovidio delle Metamorfosi, Serafini crede nella contiguità e permeabilità d'ogni
territorio dell'esistere. L'anatomico e il meccanico si scambiano le loro morfologie: braccia
umane, anziché in una mano, finiscono in un martello o una tenaglia; gambe si reggono non
su piedi ma su ruote. L'umano e il vegetale si completano; vedi la tavola della coltivazione del
corpo umano: bosco sulla testa, rampicanti su per le gambe, prati sul palmo della mano,
garofani che fioriscono fuori delle orecchie.

Oggi, a 40 anni di distanza e varie riedizioni in Italia e pubblicazioni all’estero, il Codex Seraphinianus ha trovato nuova vita con la generazione Z (cioè coloro nati tra il 1997 e il 2012), che lo ha scoperto e lo ha ne è rimasta affascinata, al punto che in molti si sono tatuate sulla pelle immagini tratte dal libro.



Nell'intervista rilasciata da Serafini, abbiamo l'opportunità di gettare uno sguardo sulle sue radici e sulle ispirazioni che hanno plasmato questa strana enciclopedia, che ci fa sentire un po’ analfabeti semplicemente perché l’artista l’ha scritta in una lingua completamente inventata illustrandola con elementi di flora e fauna, biologia, studi storici e antropologici, tecnologia e costumi di pura fantasia. Gli studiosi, gli artisti e gli amanti dell'arte hanno cercato di decifrarne il linguaggio e il bizzarro apparato immaginifico, ma molte interpretazioni rimangono aperte e soggettive. L'enigmaticità dell'opera è una parte integrante del suo fascino.

Come definire quest'opera? Ho detto che essa sollecita un richiamo verso la tradizione della
“civiltà inventata”; ma c'è di più, perché le sorprendenti, inesauribili immagini sono al
seguito di una formula mentale di eccezionale ricchezza e varietà. Vi ritroviamo (allo stato di
antecedenti) Arcimboldi e Bosch, le « macchine inutili » di Munari., i « Templi dell'Uovo » di
Fabrizio Clerici, Gaudì, oltre che la letteratura di fantascienza, le alchimie verbali di Jules
Laforgue, lo sfrenato meccanismo, di paradossaIe astrattezza, di Raymond Roussel, il surreale
giuoco di metamorfosi di Alberto Savinio, e molte cose ancora.
Estratto scritto da Federico Zeri sul giornale  La Stampa nel 1981

Federico Fellini venne introdotto al Codex Seraphiniaus intorno al 1986 da Leonardo Sciascia e il fotografo Fabrizio Clerici e manifestò subito il desiderio di voler conoscere l’autore. Tra i due geni visionari così particolari nacque subito un’amicizia.  In quel periodo Fellini stava preparando il film costruito come un finto documentario L’Intervista e dopo vari incontri propose a Luigi Serafini di interpretare la parte del protagonista del suo film, cioè Fellini da giovane giornalista esordiente appena sbarcato a Roma, ruolo che fu poi interpretato da Sergio Rubini.





Anni dopo, durante uno dei loro incontri, Serafini portò in dono a Fellini il libro Il Poema dei Lunatici di Ermanno Cavazzoni, che ispirò Fellini per il film La voce della Luna.  Durante la preparazione del film Fellini chiese aiuto a Serafini per realizzare un manifesto che ne illustrasse il senso (edi sopra) poiché il produttore italiano, alla ricerca di coproduttori, lo avrebbe presentato al Los Angeles Film Market.  

Entrando nella dimora dell’artista a Roma, in un edificio antico vicinissimo al Pantheon, si viene avvolti in un’ambiente alchemico, plasmato con colori vivi, disegni, quadri, oggetti di design in gran numero e varietà, tra i quali tazze, brocche, sculture, teche mobili e altre invenzioni incongrue di Serafini. Ogni elemento architettonico, ogni oggetto della sua arte sembra rimandare a un altro, in un impatto visivo di giochi e accostamenti geometrici, con trame dalle forme inattese. Figure in terracotta, in ceramica, in resina, un orologio che segna l’ora oceanica (?), un tappetto calpestabile a forma di coccodrillo composto da una proliferazione di uova cotte “all’occhio di bue”, una scultura in bronzo che rappresenta una donna-carota stesa che sui suoi palmi porta due carote erette: ovunque si posa lo sguardo l’attenzione viene catturata e stravolta e ogni concetto apparentemente razionale svanisce in una relazione spazio-temporale spiazzante.



Nato in Italia, Luigi Serafini si è iscritto alla facoltà di architettura a Valle Giulia nei tumultuosi anni '60, quando era un centro di attività studentesche e di fermento politico, ma il suo sogno giovanile lo portò a New York all’inizio degli anni Settanta alla ricerca di un lavoro. New York tuttavia non fu come sperava e fu spostandosi a Chicago che per un periodo trovò un lavoro in un Museo di Storia Naturale, dove dipingeva diorami. L’America in quei anni era in piena trasformazione, come racconta Luigi Serafini, milioni di giovani attraversano gli Stati Uniti, e si scambiano messaggi e condividono informazioni.
Quel periodo di profondi cambiamenti ispirò Serafini, nella concezione del Codex, che fu poi realizzato tra il 1976 e il '78, come racconta in quest’intervista.  




Il Codex Seraphinianus è diventato un’opera simbolica che ha ispirato artisti, scrittori, musicisti e registi (anche Tim Burton è un suo fan dichiarato), influenzati dalla sua estetica surreale capace di trasmettere significati aperti all'interpretazione e dal mistero che avvolge il lavoro  di un artista veramente unico e senza tempo, che continua a ispirare e affascinare persone di tutte le generazioni in tutto il mondo.