La Deposizione di Cristo di Jacopo Tintoretto

Ai Musei Capitolini un capolavoro del geniale pittore veneziano

La monumentale tela Deposizione di Cristo, capolavoro del celebre pittore veneziano Jacopo Robusti (Venezia 1519 -1594), detto il Tintoretto, è esposta nella Pinacoteca Capitolina dal 7 settembre al 3 dicembre 2023 grazie ad un importante accordo di collaborazione del 2022, tra la Sovrintendenza Capitolina e le Gallerie dell’Accademia di Venezia, prestigioso museo a cui è stato straordinariamente concesso in prestito il Battesimo di Cristo di Tiziano.
La scelta di portare a Roma questo capolavoro da poco riscoperto dà l’opportunità di ammirare un’opera che appartiene alla maturità dell’artista più geniale e anticonformista del Rinascimento veneziano, affiancandola ai dipinti del figlio Domenico, esposti nella Pinacoteca dei Musei Capitolini.



L’incontro “romano” tra padre e figlio rappresenta un fatto straordinario dal momento che in nessun museo pubblico della capitale sono presenti opere di Jacopo, un artista che Giorgio Vasari non esitò a definire: “Il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura”. Diventa qui possibile ammirarne la potenza e la modernità del linguaggio pittorico e apprezzarne l’evoluzione nelle opere del figlio Domenico che alla morte del padre ne ereditò la bottega e il futuro della sua pittura.
Il progetto espositivo La Deposizione di Cristo di Jacopo Tintoretto. Incontro romano di Tintoretto padre con Tintoretto figlio è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è curato da Federica Papi e Claudio Parisi Presicce. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura.

La Deposizione di Cristo, nel percorso artistico di Tintoretto, si colloca all’apice della sua carriera, quando lo “stravagante” e “capriccioso” pittore ha ormai messo a punto lo stile, la tecnica e la pratica di esecuzione.

La maggior parte degli studiosi concorda attualmente per una datazione dell'opera intorno ai primi anni Sessanta del Cinquecento (1562). Tale datazione, seppure posticipata rispetto a quella del 1550-1560 spesso sostenuta dalla critica, rimane comunque compatibile con lo stile di altri dipinti coevi del maestro per la “sensibilità compositiva già proto-barocca”, il profondo pathos religioso e la costruzione dinamico-plastico-illuministica delle figure.
La grande tela (cm 227 x 294) fu presumibilmente eseguita per l’altare maggiore della chiesa gesuita di Santa Maria dell'Umiltà alle Zattere, soppressa nel 1806 e demolita nel 1821. Divenuta proprietà demaniale, l’opera fu successivamente assegnata all'Accademia di Venezia dove è rimasta per lo più ignorata o sottostimata dalla critica fino al restauro condotto da Giulio Bono nel 2008-2009 che ne ha restituito tutta la qualità permettendone la riscoperta e l’ascesa tra i capolavori autografi del pittore. È stata quindi presentata per la prima volta nel 2009 come opera inedita alla mostra di Tiziano, Tintoretto, Veronese: Rivals in Renaissance Venice al Museo di Fine Arts di Boston e al Museo del Louvre a Parigi.  



L’artista compone questo brano di storia sacra con estrema libertà. Il dipinto raffigura il momento in cui il corpo senza vita di Cristo è stato ormai rimosso dalla croce, come alludono la scala vuota sul fondo e il martello e le pinze in basso a destra. Giuseppe d’Arimatea sorregge Gesù da dietro mentre Maria, svenuta tra le braccia di una pia donna, forse Maria di Cleofa, lo accoglie sul suo grembo. La Maddalena chiude il gruppo dei personaggi allargando le braccia in un gesto di struggente disperazione.

Tintoretto interpreta l’episodio della Deposizione dalla croce, non riportato dai Vangeli ma ricorrente nella letteratura mistica medievale, restringendo al massimo il numero dei personaggi (mancano le tradizionali figure di Nicodemo e del san Giovanni evangelista e due delle Marie). Costruisce una composizione serrata in cui il gruppo di figure maschili e femminili, più grandi del naturale, si snodano, intrecciandosi con pose e gesti, su due linee parallele che si intersecano solo in basso nella ‘croce’ ideale formata dalla sovrapposizione dei corpi allungati di Cristo e di Maria.

Ne emerge una composizione in cui la dialettica tra scultura e pittura, tra disegno e colore, tra i violenti contrasti di luci e cupe ombre allusive della morte, raggiunge vertici poetici di altissima intensità e drammaticità.

Palese è il richiamo alla Pietà di Michelangelo, a ricordarci l’ammirazione costante del maestro veneto per il grande Buonarroti, ma anche le suggestioni provenienti dalla Deposizione di Daniele da Volterra di Trinità dei Monti a Roma, dalle raffinatezze del manierismo tosco-romano, dal lirismo del Parmigianino e naturalmente dai pittori veneziani contemporanei, in particolare da Pordenone e Tiziano.
Questa invenzione compositiva, tradotta in incisione intorno al 1590 dal fiammingo Aegidius Sadeler II, ebbe un grande successo: se ne conoscono due varianti di bottega, una a Vienna e una a Colonia e quattro più tarde dipinte dai seguaci del maestro.

Nella sua attività Jacopo fu sempre affiancato dagli allievi e dalla bottega familiare, in particolare dal figlio primogenito Domenico (Venezia 1560 - 1653) cui affidò molti dei dipinti lasciati incompiuti dopo la morte, richiedendolo peraltro espressamente nel suo testamento in cui lo designava erede dell’intera bottega.
Domenico cominciò a lavorare stabilmente con il padre dall’età di vent’anni. Il confronto con il “fulminante pennello” di Jacopo fu certamente l’aspetto più determinante per la sua formazione, ma rispetto al capostipite, cui rimase stilisticamente sempre fedele, sviluppò una maggiore inclinazione per il naturalismo, sia nel paesaggio che nella figura umana, acquisendolo dalla pittura dei Dal Ponte, l’importante dinastia di pittori nota con il nome di Bassano, sia dai collaboratori nordici attivi nella bottega paterna.

Il ruolo di Domenico fu inizialmente quello di esecutore materiale delle opere del padre, poi di supervisore dei cantieri e infine di vero e proprio sostituto; sembra spetti infatti a lui gran parte della realizzazione del grande telero del Paradiso nel Palazzo Ducale a Venezia.
Oltre a lavorare alle commissioni del padre, Domenico ebbe anche una sua attività indipendente. Seguendo l’esempio di Jacopo e del nonno cominciò a frequentare la Scuola di San Marco intessendo rapporti anche con la Scuola dei Mercanti per la quale realizzò tre teleri con storie del Vecchio e Nuovo Testamento, ritenute tra le sue opere migliori. 
Anche lui si distinse particolarmente nell’arte del ritratto, differenziandosi per una maggiore vivacità e accentuazione realistica, i cui esiti sono stati paragonati a quelli raggiunti più avanti da Annibale Carracci che fu a Venezia alla metà degli anni Ottanta del Cinquecento.

Nella Pinacoteca Capitolina si conservano quattro suoi dipinti provenienti dalla collezione Pio, tre dei quali, inizialmente riferiti a Jacopo e poi restituiti al suo catalogo, raffigurano il Battesimo di Gesù, la Flagellazione (attualmente in prestito) e la Coronazione di spine. Le analoghe dimensioni e lo stretto rapporto iconografico hanno indotto a ipotizzare che queste opere siano appartenute a uno stesso ciclo pittorico.
Tutte e tre derivano da prototipi paterni e rivelano l’assorbimento dello stile di Jacopo nella costruzione fortemente manieristica della composizione basata sugli incroci delle diagonali e delle verticali, sulle esasperate torsioni dei corpi, sulla marcatura delle luci e delle ombre e sull’uso di lumeggiature dal sapore bizantino.
La quarta opera, la Maddalena penitente, databile intorno al 1599, è invece un’opera firmata in basso a sinistra: “OPUS DOMINICI TINTORETTI”. Raffigurata in un ambiente notturno, illuminata da una luce divina verso la quale dirige lo sguardo estatico, questa Maddalena, ritenuta tra le opere più memorabili di Domenico, spicca per il marcato e intenso realismo cui fanno da spalla gli impressionanti dettagli di natura morta della stuoia che l’avvolge e del graticcio di paglia su cui si poggia. 

La Deposizione di Cristo di Jacopo Tintoretto. Incontro romano di Tintoretto padre con Tintoretto figlio 
Musei Capitolini, 7 settembre - 3 dicembre 2023